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Tu, come stai?

Faccio una scappata al super sotto casa, tempo di tirar su due robe per il viaggio di domani.
Arriverà il giorno in cui ognuno si farà la sua valigia? In cui non saranno affari miei se avrà freddo, caldo, dovrà arrampicarsi con l’infradito a 2000 metri o lavarsi i denti col sapone di Marsiglia?

Sto per varcare la soglia del metaverso condizionato che mannaggia a me se non aveva ragione mia mamma che uno scialletto di pile bisogna portarselo sempre in borsa, quando dalle porte scorrevoli 2 metri a destra vedo sbucare un carrello stracarico di quelli da faccio una scappata al super sotto casa tempo di tirar su due robe… e dietro il mammut su ruote incrocio gli occhi nerissimi della mia amica Federica. Ancorato al carrello come una barchetta di carta, un vecchietto dai minuscoli passi strascicati e traballanti, ossa leggerissime in vestiti troppo larghi. La mia amica blocca il carrello con un piede e intanto, sfiorandolo come fosse vetro soffiato, sfila dalle orecchie del vecchietto la mascherina. Occhi negli occhi, travaso di una vita. D’un tratto è come se quel parcheggio del super implodesse e devo distogliere gli occhi tanta è la luce risucchiata.

Mi aveva detto qualche mese fa che suo marito aveva lasciato il lavoro per via della SLA, che prima o poi avrebbero dovuto spiegarlo ai bimbi, soprattutto il più grandicello che sta finendo le elementari, dovremo trovare le parole, avrà bisogno di qualche supporto, ma dai in qualche modo faremo… fa fatica a vestirsi, i bimbi lo aiutano a mangiare, se non fosse per loro starebbe tutto il giorno a letto.
La saluto da lontano e scappo dentro il super litigando con la monetina del carrello, il cuore gonfio di una tenerezza perplessa. 
Vecchietti che si trascinano nel caldo estivo abbarbicati come coralli se ne vedono tanti, declinazione di un amore che da solo non sta in piedi, in cui finalmente ci si riscopre creature. Ma Federica ha la mia età, suo marito solo un paio di anni in più.

Ripenso al mio, alle sue spalle larghe su cui si arrampicano i figli in mare, agli 800 km che macinerà per portarci in vacanza, agli scatoloni del trasloco, alla pazienza di roccia con cui argina le mie paturnie. E a me, che non ho mai imparato a cucinare il risotto, o a leggere il contatore o a fare la dichiarazione dei redditi. Perché tanto c’è lui. A noi che ci diamo per scontati e litighiamo per chi mette fuori la spazzatura. Che abbiamo perso il gusto di accudirci.

In cassa la commessa fa cenno al ragazzino dietro di me di passarmi davanti, visto che ha solo una birra da pagare. Dà per scontata la mia gentilezza, o quella degli esseri umani in generale, e in fondo me lo merito, viste tutte le precedenze accumulate negli anni. 
Fai pure, tanto non ho fretta, rispondo senza che nessuno me lo chieda.
Se ho la vita davanti non lo so, ma adesso ho questo minuto e posso sprecarlo.
E voglio sprecarne un altro tornando a casa, per chiedere all’uomo con cui spero di invecchiare: “Tu, come stai?”

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