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Potare, che male!

A volte mi sembra che questo tempo della potatura non finisca mai. Sfrondare, tirar via i rami secchi, arrivare al succo, buttare via ciò che non serve, o non mi entra più, o non fa per me.
In questo i miei figli sono più avanti, perché hanno ammassato meno cose.

Verrà anche per loro – domani? dopodomani? – il tempo della contestazione, del dubbio, della polemica a prescindere, del ripartire da zero.
E forse, domani o dopo, ci metteranno i piedi in testa per guardare oltre il muro. Forse, domani o dopo, ci chiederanno di non tremare per calpestarci bene. Ci chiederanno dove peschiamo l’acqua, dove cerchiamo il sole, cosa ci fa felici. Dovremo rispondere a domande difficili, fornire valide ragioni, essere credibili. Dare in pasto le nostre storie col rischio di essere presi in giro, smentiti, osteggiati.

O forse no. Forse ci vedranno ancora in cammino, ancora dubbiosi, ancora stupiti. Cadere ogni giorno sui soliti passi. Forse faremo persino tenerezza. Forse ne sapranno di più, correranno più forte, saranno più grandi. Ci tenderanno una mano.

Io intanto continuo a sfrondare, perché mi piacerebbe essere concime e non zavorra.

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