Ultimamente odio le cuffie di mio marito. Odio il suo pc, odio il suo cellulare e odio anche la mia ex scrivania. È un odio viscerale, perché trascorre con loro tutto il tempo che invece potrebbe essere nostro. E non potendo disintegrare loro, me la prendo con lui.
Settimana scorsa ho trovato mia figlia di 7 anni nascosta sotto le coperte, perché “non le piace quando litighiamo” e mi sono vergognata di me stessa. Sono riaffiorati vecchi ricordi e ne avrei fatto volentieri a meno. Ma poi ci sono ricascata.
Sono stremata da questo anno che ci ha privato di tante cose, sono stremata soprattutto dal dovermela continuamente vedere con me stessa. Mi mancano gli amici, mi mancano i km, mi mancano le chiacchiere e gli abbracci, mi mancano gli appuntamenti, mi mancano le occasioni per cambiare idea e le feste a sorpresa. Mi sento spigolosa e inasprita, schematica e intransigente, ligia fino alla paranoia, e per che cosa poi, che non se ne vede la fine? Ci riprenderemo la nostra voglia di stare insieme, le ammucchiate dei bimbi, le foto di gruppo e i picnic sulla spiaggia? O avremo sempre paura di toccarci? Mi commuovo per le congratulazioni del cassiere, che se n’è accorto prima degli amici.
Mi sento spaesata. Lui sotto le cuffie resiste, io esco di testa. Siamo due solitudini ognuna nella sua orbita.
E lo so che non è colpa sua e che non c’è nulla da perdonare, lo so che non sarà per sempre, lo so che adesso è il momento di fargli coraggio. Ma io di coraggio non ne ho nemmeno per me.
I figli lo fiutano. Si accorgono di certi mutismi sostenuti, di una tavola apparecchiata a casaccio, di rimproveri che non sono per loro, di impuntature esagerate. Di attese spazientite e di occhiatacce per dire “ancoraaa?”
Di un papà che chiede come stai e tenta una carezza a una mamma sempre indaffarata che si scosta. Perché altrimenti crollerebbe.
Mi dicono: “Mamma, ma papà può almeno cenare con noi? Poverino, non ha nemmeno pranzato…” “Mamma, ma perché papà lavora anche di domenica?” “Mamma, ma i suoi colleghi non hanno dei bimbi?”
Me lo dicono con tenerezza, filtrando la rabbia di discorsi sentiti dai grandi.
Io non transigo. Non voglio cellulari a tavola, figuriamoci pc e cuffie alle orecchie. Se stai con noi, stai con noi. Dolorose alternative impossibili da scegliere.
Dentro mi tormento come quando sentenzio punizioni insensate e non so tornare indietro.
“Papà deve lavorare tanto se vogliamo comprare una casa più grande!” chiosa una saputella con le trecce, solo a tratti adorabile.
Riderei, se non fossi così arrabbiata. Invece puntualizzo seccata. “Anche la mamma lavora, la casa la compriamo in due.”
Il GGG cerca di recuperare rubando le cuffie a suo padre: “Dai, papà, ci parlo io con il tuo capo!” Trattengo un mezzo sorriso davanti a un gesto che vorrei tanto fare io, ma senza quella dolcezza. “Ehi, capo, quando finisce questa call? Oggi è il compleanno del mio papà e noi abbiamo sonno…”
Oggi è il giorno in cui semplicemente dovrei ringraziare perché c’è e non saprei immaginare cosa sarebbe il mondo se non ci fosse, e invece da quando si è svegliato ho solo fatto il conto di tutti i difetti con cui si è svegliato uguale a ieri. Mentre tornavo a casa con le sue brioche, mentre appendevo la solita scritta di Buon Compleanno, mentre cercavo nei cassetti delle vecchie candeline, mentre tagliavo le fragole per la torta di sempre. Aggrappandomi a delle buone abitudini che sanno di noi. Mentre cala la sera su una cura svogliata di noi. Mentre la cena si raffredda.
“Mamma, cosa significa amare perdutamente?”
Bimba mia, significa che io se non ti amo sono perso.
L’amore tutto copre.
E io devo ancora impararlo dai figli.