Giorni fa qualcuno ha gridato allo scandalo perché al biondissimo erede Ferragnez avrebbero chiesto di interrompere i suoi giochi per fare un bel sorriso alle telecamere. Al che, risentito e intapirato, il detentore maggiorenne del suo mezzo cognome che anima bella pare sia rimasto intrappolato nella carta da parati, avrebbe replicato col suo solito garbo che di certo non sono loro a monetizzare sui figli. E ci mancherebbe pure. Dovessero sforare la soglia ISEE.
Io a dirla tutta non conosco nessuno che monetizza sulla bellezza e sulla simpatia dei propri pargoli, mentre mi sento un attimo accerchiata da accaniti influencer. Tutti che postano foto di luoghi esotici, figlioli biondi e sorridenti, carriere strepitose, barche ormeggiate, mariti tonici, aperitivi feriali, cuccioli cucciolosi e natura chilometro zero.
E a dirla tutta ma proprio tutta, la detentrice dell’altro mezzo cognome, che solo a sbattere le ciglia 2-3 volte al giorno potrebbe risolvere il problema della fame nel mondo, ha una pelle così perfetta che manco la considero tra la schiera di santini calamitati sul frigo. Extra pantheon. Insomma, non è che il primo pensiero del mattino, quando mi addentro nella cabina armadio invasa dagli attrezzi dell’aitante marito detentore al centopeccento del cognome prolifico, sia: “Cosa indosserebbe oggi? Cosa mangerebbe oggi? Cosa farebbe oggi Blonde Salad?”
Nemmeno mi passa per l’anticamera.
Mentre io mi incaglio il mignolino nella valigetta del trapano (e forse nella sua cabina armadio nemmeno un Titanic si incaglierebbe) e tiro giù mezzo calendario di polente che mannaggia a me è solo lunedì e già siamo in ritardo e ci fosse una volta che non rovesciate il latte ovunque e che daidaidai le scarpeee e sto semaforo è sempre rosso e vi lancio oltre il binario perché non c’è un buco per parcheggiare e sento già la campanella che suona, io penso alla mia amica Mimì, che si stiracchia tra le bimbe pacioccose nel lettone inamidato, fanno colazione vista mare con la torta appena sfornata e l’estratto di maracuja e le trecce perfette e poi tutti insieme vanno a scuola in bicicletta raccogliendo fiori a bordo strada e cantando le tabelline e poi fanno ciaociao con la manina che la mamma vi aspetta a casa per merenda e intanto va a casa a sfornare altre torte. Ecco, io penso a Mimì e mi viene lo sconforto.
E quando apro il frigo e butto in padella delle cose a caso tempo di cottura max 7 minuti, sperando di svangare i soliti capricci e altre proteste più subdole tipo quelli di nonna sono più buoni/li abbiamo già mangiati a scuola, e intanto attacco a scampanare “Ragazziii! Apparecchiareeee! Basta litigare sul colore dei piatti!!!” io penso alla mia amica Terry, che oggi pomeriggio era nell’orto con i bimbi stivalati a tirar su carote e patate per il minestrone che fa tanto bene, e adesso eccoli lì, ognuno incastrato nella sua learning tower ognuno col suo grembiulino col nome ricamato a punto croce e il suo set di coltelli, a sminuzzare tritare assaggiare impiattare. E già che ci siamo impastiamo una pagnotta di lievito madre così inseriamo anche i carboidrati. Ecco, io penso a Terry e butto in padella una manciata di sensi di colpa.
E quando li recupero tipo scuolabus e su e giù e doppie frecce e guai a voi se togliete il freno a mano e adesso tutti zitti dieci minuti che la mamma ha una call e occhio a vostro fratello che non ingurgiti Lego e no adesso non posso proprio devo mandare la lavatrice gioca a Memory da sola tesoro, io penso alla mia amica Chicca, che prende il tè con le bambole, fa gli origami, intaglia il didò, cuce a mano i vestiti di Carnevale, legge le favole della buonanotte in inglese e fa i massaggi dopo il bagnetto. Ecco, io penso a Chicca e penso che razza di madre sono.
Perché nessuna! nessuna? nessuna! posta un naso che cola, un brutto voto, un bimbetto che non sa ancora camminare, la rabbia contratta sotto il naso un secondo prima di esplodere, un figlio strattonato per fretta o per sfinimento, le spinacine da scongelare, le ditate sullo specchio, un compleanno dimenticato.
E davvero, lo capisco che la gioia tende naturalmente a straripare, che la felicità uno ha bisogno di condividerla, che le coccole sono contagiose. Che mettersi in posa aumenta l’autostima. Che questa generosa condivisione della vita privata ci faccia sentire tutti più fratelli. Però, dato di fatto, da questa narrazione di famiglia resta fuori una bella fetta di stanchezza, vecchiaia, malattia, fragilità, storture, brutti difetti, attacchi di panico. E allora ogni volta che capita a me, eccola quella vocina infingarda: UNA COSA DEL GENERE LA TUA AMICA NON LA FAREBBE MAI.
Anche i santi hanno i brufoli, disse quel gran genio del mio amico… e invece come ce li hanno raccontati? Facce da calendario, altro che Ferragnez. A dirti dal frigo che tu non ce la farai mai, quindi lascia perdere.
Qualcuno ci ha provato a ribellarsi a certi stereotipi, mostrando #nofilter cosciotte mollicce e rotoli di troppo e guadagnandosi l’eterna gratitudine di mezzo pianeta. Chissà se un giorno saremo altrettanto disinibiti sugli scivoloni del cuore.
Forse no. E va bene così. Il perché lo sto capendo, a forza di scivoloni, sulla mia pelle.