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Io non lo so perché

Erano giorni ormai che i nostri bimbi facevano domande sulla guerra. Tornavano a casa da scuola ed era tutto un perché. Perché non si mettono d’accordo? Perché si chiamano bombe intelligenti se ammazzano la gente? Perché non li aiutiamo? Perché non possono andare a scuola? Sotto la metropolitana non possono fare la DAD? E di chi è la colpa? Chi ha torto e chi ragione? Chi è più forte? Noi da che parte stiamo? Quanto durerà? Dove scapperanno? Cosa metteranno in valigia?
Poi, una notte, la guerra è iniziata davvero. In una città, mamma, che si chiama in un modo strano e dove c’è ancora la neve. E lo sai, mamma, stamattina Orjana piangeva perché ha paura per i suoi nonni. E anche la maestra allora ha pianto. E tutti abbiamo un po’ paura. Bisogna prendere l’aereo per andare dai nonni di Orjana? E come fanno a volare gli aerei se nel cielo ci sono le bombe?

Bimbi miei, io davvero non lo so: né come né quando né perché.
Ci fanno credere, a noi grandi, che dobbiamo sempre avere le risposte, se no siamo sbagliati. Ma noi siamo tutti domande sospese a mezz’aria.
Che dobbiamo sempre essere all’altezza, essere sul pezzo, essere veloci. Ma la vita ha i suoi tempi e non li decidiamo noi.
Se vi va, possiamo pregare.

Abbiamo iniziato così, tutte le sere, con degli amici sgangherati come noi. Ricordandoci di come pregavano una volta i nostri nonni, la sera intorno al fuoco, rammendando calzini o sbucciando patate. Chi ancora a cena, chi sul divano, chi in auto rientrando dal lavoro. Noi tutti ammucchiati sul lettone, perché lì prende meglio il wifi.

E su quel lettone che sembra una zattera, in una caciara di piedi e di mani e di panni da piegare, di bimbi che fanno le capriole e si danno i pizzicotti e inciampano nelle Ave Maria, ogni sera impariamo ad arrivare puntuali, ad aspettare il nostro turno, a stringerci un po’ per non cadere giù, a rimandare una cosa che volevamo dire e poi magari a non dirla affatto, ad aspettare, ad ascoltare, a cambiare discorso, a parlare più piano per farci capire, a lasciarci la fatica e i rancori alle spalle, ad abbandonarci al sonno.

Su quel lettone che sembra l’ultima spiaggia e invece è lì da prima di noi, ogni sera scopriamo che mentre chiediamo la pace per il mondo, bussando testardi 1, 10, 1000 volte, avidi di risposte che forse non otterremo mai, la pace va scavando radici nel nostro cuore e nella nostra casa.
Che se pure il mondo resta lo stesso di ieri, dentro però qualcosa cambia.
Che ogni preghiera viene ascoltata ancor prima di salire al cielo.

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