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Dare fiato al cuore

Dopo una settimana di lontananza dei quattro più grandi, un amico mi chiede: “Provi un po’ di nostalgia?”

Da qualche mese mi sto allenando a dare un nome a quel che sale dal cuore.
Perciò, ti dirò.
Provo gioia in cima a tutto: gioia al vederli felici senza di me.
Emozione nel saperli ogni giorno più grandi.
Sollievo nell’apparecchiare 4 tazze.
Leggerezza per quella serata tra amiche.
Tenerezza per i due piccoli che riempiono di coccole gli spazi vuoti.
Curiosità per quella me che torna a galla.
Gratitudine per la strada fatta finora.
Senso di pace per certi pomeriggi più lenti.
Apprensione per la telefonata che tarda.
Soddisfazione per aver saputo attendere.
E sì, anche un pizzico di nostalgia, ma in fondo al mucchio.

Da anni faccio un sogno ricorrente. Devo dire assolutamente qualcosa, mi preme nel petto e devo urlarla fuori. Ma per quanto dilati la bocca e peschi il fiato, per quanto dischiuda i denti e srotoli la lingua, non esce nulla. Mi accorgo allora di essere sott’acqua, dalla mia gola escono milioni di bollicine impazzite, ma nessun rumore. Nessuno può sentirmi, nessuno mi tende la mano. Quando mi districo finalmente dal sonno, non ricordo più cosa volessi urlare.

Fuori dai sogni, mi capita lo stesso con gli amici persi per via senza spiegare, e tutte le volte che nemmeno ci provo per timore di non essere capita. O in quei progetti che mi rubano il sonno e che ai più risultano banali. Mi si spezza il fiato.
Devo riappropriarmi del diritto di parola, almeno col mio cuore.

Altrimenti ecco la rabbia, che zitta non sa stare.
Prepotente ruba la scena a tutte le sorelle, che si accalcano dietro a spintoni, e ne vien fuori un garbuglio di parole senza senso. Potente la rabbia a sturare il cuore, ma dietro si lascia più affanno di prima.
(Certe volte mi viene in soccorso il linguaggio della pelle, che pure allevia però rimanda, fraintende, mette in attesa.)

Devo impormi di dare fiato al cuore. Di dire (e sentirmi dire) parole intere, rotonde, saporite.
Che bello questo tramonto! Quanto siamo felici! Mi sento triste e non so perché. Mi vergogno a dirlo ma l’ho pensato anch’io. Questo odore mi ricorda qualcuno. Ho avuto paura perché tu non c’eri.
(Le parole più difficili da scovare sono quelle che stanno in fondo)

Perciò quando li vedo da lontano corrermi incontro come solo i bambini sanno fare, resto ferma e cerco con calma le parole. Per la distanza che si accorcia, l’odore dei capelli, il volo dei gabbiani. Per l’attimo prima che l’abbraccio si chiuda. Come dentro una bolla.
E questa volta lo dico ad alta voce. Per tutte le volte che la piccola me avrebbe voluto sentirselo dire e invece è rimasta sott’acqua.

“Come sei diventata bella!”

La bolla esplode in miliardi di bolle. Annuso l’aria e riconosco in fondo al mucchio l’odore che fa la nostalgia quando cade.    

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