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Che cosa c’è di buono?

C’è un ometto riccioluto che tutte le sere si avvicina ai fornelli dove la mamma è intenta a buttare in pentola robe a caso: “Che cosa c’è di buono stasera?”
Lo so. Entro 10 minuti arriveranno i soliti capricci, le pallottole di pane, la regola dei 3 assaggi, è aperta la stazione?, le litanie a Santa Pazienza, ma intanto mi godo questa carica di ingenua apertura all’ignoto ancora immune all’ostruzionismo qualunquista dei fratelli e alla mesta rassegnazione del pater cucinae.
“Che cosa c’è di buono?”
“Denti di drago e ali di pipistrello. Con qualche carotina qua e là.”

Settembre è il mese delle grandi polemiche.

Perché questo ingresso assurdo dal retro? Perché è cambiato il maestro di ginnastica che l’altro era tanto bravo? Perché quest’anno mio figlio deve giocare in porta? Cos’è questa storia che il catechismo si sovrappone con la pallavolo? Non era meglio se facevamo col fondo cassa? A che cavolo servono le calze antiscivolo? Possibile che consumiate tutto questo scottex? Ma chi l’ha pensato il menù bilanciato della mensa? Oh, ma il passaggio a livello è sempre chiuso!!! (grande classico cittadino totem dei malumori feriali) Non dovevano essere finiti da un pezzo i lavori del ponte?! Abbandona gruppo. Scusate se ho creato questa nuova chat per il regalo di Mimmo. Silenzia gruppo.  

E io, illudendomi che la mia opinione sia indispensabile per una gestione più efficiente del pianeta, dico la mia. Dovendo compensare l’emissione giornaliera di sproloqui, la mia taciturna metà mi ricorda che non sono Piero Angela e poi si tace nel guscio. Non mi sostiene minimamente nelle mie campagne universalmente condivisibili, anzi se possibile mi banna.

Questo settembre ho investito (quasi) tutte le mie negative vibes contro l’interminabile inserimento dell’ometto spillo alla scuola della cosiddetta infanzia. Cosiddetta perché ora che finisce l’inserimento sono tutti maggiorenni e non hanno più bisogno delle deleghe per andare al bar di fronte. (Quasi) perché siamo solo al 20. Non potendo appellarmi alla cara vecchia zia Mary M, al rischio di dispersione scolastica e all’impatto ambientale del mio trafelato via vai per il parchetto 8-10 volte al giorno, questo settembre ho tirato in ballo l’emancipazione femminile e la disparità di genere nel mondo del lavoro (in soldoni: come può una mamma lavoratrice chiedere 3 settimane di ferie e permessi per inserire senza traumi un nanetto a scuola?)

Ora, in questa battaglia io ci credo fermamente. (Anche se, lo so, ce ne sono di più importanti a cui votarsi, tipo la continuità didattica dell’insegnante di sostegno, l’inclusione degli alunni disabili, l’integrazione di quelli stranieri…)
Però dopo 6 inserimenti in 7 anni alla scuola dell’infanzia (sì perché uno me l’hanno pure rimandato a settembre), altrettante proteste di vario genere e grado purché legali e risultati pari o inferiori allo zero, come sottotitola il taciturno marito: “Non ti sarai rotta i cosiddetti?”
Sapendo che sono anche un po’ permalosetta, non aggiunge, ma lo retropensa: “Non è che magari ne sanno più di te a riguardo?”

Settembre è il mese delle grandi polemiche – che facilmente collassano in tafferugli e turpiloqui – perché stavamo così comodi nelle vecchie ricette, nei planning configurati, negli incastri rodati.
Settembre è il mese del tutto daccapo, dell’imprevisto, del rimescolo, dello scompiglio.

Ma pure del “Mamma, che cosa c’è di buono?”
Voglio crederci, che ci sarà qualcosa di buono anche nell’ingresso sul retro, in un treno soppresso, in una febbre alle 7 di mercoledì.
Verrà fuori qualcosa di buono buttando in pentola quel che trovo nel frigo.
Fossero pure denti di drago e ali di pipistrello.
Con qualche capriccio qua e là.

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