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Un passo indietro

Qualche giorno fa leggevo questo breve post di Daniele Novara.

No, non sono sicuramente una mamma servizievole, anzi. Se c’è una cosa in cui difetto è il tenero accudimento. Non ho mai dispensato cerotti magici, ciucci a comando, cartoni a capriccio. Non gli ho mai reso la vita facile, ho vietato il lettone. E un po’ me ne pento, perché mi sono persa tante coccole. Ho sminuito certe loro lacrime, li ho costretti a ripartire con le ginocchia sbucciate, a tirare avanti nonostante la fatica, a rigare dritto quando avrebbero voluto rotolarsi come bambini. A volte penso: li ho fatti crescere troppo in fretta. 

Smarcato il punto 1, in compenso un po’ segretaria mi sento. Fai questo, fai quello, vestiti, lavati i denti, fai la cartella, hai ricordato il diario? Hai preso il borsone del calcio? Il cambio per il nido? Hai chiamato la pediatra? Hai chiuso il clicca e vai? Lo faccio con me, lo faccio con gli altri. Interminabili elenchi da spuntare. 

Però a me non sembrano spuntati mai. Le cose prima o poi le fanno, ma mai come me le immaginavo io, mai nei tempi che vorrei. Il mio aitante vicepilota dice che ormai si è rassegnato. Che le faccia o non le faccia le cose, mi dice sornione, tu comunque ti lamenterai. Che è solo l’incipit di uno dei nostri innumerevoli tavoli di dibattito. Stavolta lascio cadere. 

Non potendo riciclare la minaccia della nonna (Guarda che ti spedisco in collegio!) e nemmeno quella della mamma (Guarda che ti spedisco in Africa!) l’altro giorno me ne esco con: “Guardate che vi spedisco a lavorare! A lavare i piatti in un ristorante!”

La minaccia non ha ottenuto l’effetto sperato, perché tempo mezz’ora si sono organizzati nei dettagli per aprire un ristorante e servire a noi vecchi bacucchi una cena in grande stile. Ristorante I 6 FRATELLI diceva il menù, e sotto svariate pietanze gentilmente offerte dalla casa, sul terrazzo di casa. Cucine al piano inferiore, specifica lo chef, prospettandomi pile di piatti in cocci nel sali e scendi dei volenterosi camerieri, acqua rovesciata sulle scale e sangue ovunque. Tu devi rimanere in terrazzo! sancisce perentorio, leggendomi il terrore in faccia. A debita distanza, se la ridacchia il mio compare.

Ma… E chi farà la spesa? E con quali soldi? Chi starà ai fornelli? Sapete gli ingredienti, le dosi, i tempi di cottura? Chi scolerà la pasta, chi infornerà, chi affetterà, chi triterà, chi laverà i piatti…? Aiutoooo.

Stai tranquilla, mamma, ci pensiamo noi! Tu rilassati! Sì, come no! Al massimo chiediamo al papà. Sì, come no 2 volte!

E insomma, non c’è stato verso. Ho cercato di sgomberare la testa, di rilassarmi davvero, di stare zitta e ferma in un angolo del terrazzo dove mi avevano apparecchiato.  È stata durissima!

Al posto loro avrei messo il tavolo in un altro punto, rinunciato al doppio bicchiere, salato di più la pasta, di meno le polpette, non avrei cambiato i piatti a ogni starnuto. Al posto loro appunto. Se invece fossi stata al posto mio, mi sarei goduta la serata. Mi sarei persino commossa al vederli così grandi, così autonomi, così capaci di fare a meno di me. 

Oggi parto per lavoro. Ho quarant’anni e non ho mai dormito da sola, lontana da casa, lontano da loro. I ragazzi sono emozionatissimi per questi due giorni di vacanza col papà. Non rifaranno i letti, mangeranno in giro per casa, andranno a dormire a orari improbabili, metteranno il ketchup sui bastoncini Findus. Se la caveranno benissimo senza di me. lo, non lo so.

Sulla porta di casa ho attaccato con i miei punti elenco. “Mi raccomando ragazzi, ricordatevi di…” Sono corsi via, ma tanto ho lasciato dei memo sul frigo e pure dentro la valigia da chiudere. 

Mi sono scordata di dirgli che mi mancheranno un po’. Ci ritroveremo tra qualche giorno, magari un po’ cresciuti tutti quanti. 

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