E così oggi è l’8 marzo.
L’ho capito perché alla radio, in tv, sugli stati wa, si parla solo di parità, di quote, di percentuali, di gap da colmare e di spazi da pretendere.
Beninteso.
1) A me piacciono tanto le panchine rosse, i numeri antiviolenza e le rivendicazioni in generale. Se domani organizzate un picchetto per ripristinare le cabine telefoniche o una manifestazione contro le zanzare tigre, io sicuro ci sono.
2) Che certe donne si siano fatte un mazzo tanto per farsi valere nella storia dobbiamo raccontarlo alle nostre figlie, e forse ancora di più ai nostri figli.
3) Che la donna incida di più nella società a fare il Premier che non a spianare i tortellini è tutto da dimostrare, ma siccome non saprei fare né l’uno né l’altro io mi tengo vigliaccamente nel mezzo, sperando di non fare troppi danni.
4) Sono allergica alle mimose e il mio diversamente donna lo è ai fiori recisi in generale.
Ma.
Per amor di tradizione.
Oggi che è l’8 marzo ho voluto ribadirgli certe disuguaglianze intrinseche al nostro menage famigliare. Tipo che anch’io ho un contratto full time, un unico paio di mani e una sola testa peraltro malconcia.
La mia saggia metà, per tutta risposta, è scesa a buttare la spazzatura (cosa che fa solo quando vuol prendere aria) e al ritorno, tutto bello ossigenato (o tutta bella ossigenata? Per amor di concordanza?…), se n’è uscito lapidario tipo Piero Angela un attimo prima della réclame.
“Se anche noi due non facessimo esattamente a metà, cosa importa?”
Che è una battuta sessista e vigliacca, perché lo sa benissimo che ho studiato lettere classiche e sui numeri m’incarto, figuriamoci le frazioni.
Giusto ieri a cena, il degno erede di suo padre, terza elementare, ha convinto il fratello analfabeta a “smezzare” un ultimo biscotto in 6. Sono cose che segnano, prevaricazioni subdole. Dagli ancora un anno e te le restituisce triplicate.
Però in effetti ha ragione, la mia saggia metà.
Dal giorno in cui ci siamo promessi di essere l’uno per l’altro, i confini sono andati a farsi benedire.
Ma letteralmente.
Io accolgo te. Tu me.
Qualcuno, che pure sapeva far di conto, disse: a immagine e somiglianza di un Dio-famiglia. Amante-Amato-Amore.
Non più due ma uno, anzi tre.
Che a quanto mi dicono è un numero primo indivisibile.
Tipo l’altalena del parchetto, che se due pesano uguale non va né su né giù e non c’è gusto.