Erano dieci anni che ci promettevamo di tornare a Parigi e dieci che rimandavamo.
Troppo lontano, troppo piccoli, troppo costoso, troppe poche ferie, troppi in generale.
Ma ad aspettare l’anno in cui finalmente saremmo stati tutti sani, ricchi, belli e frizzanti, piedimuniti e spannolinati ne sarebbero passati almeno altri dieci.
Alla fine, l’unica è stata prendere e partire.
Ci piace viaggiare in auto, perché dall’alto non si vedono i dettagli. Il verde prato della Svizzera, il giallo fieno dell’Alsazia, i campanili, le mucche, le persiane colorate, una vecchia cremagliera abbandonata. Ci fermiamo dove ci ispira. In qualche modo prima o poi si arriva.
Parigi non è esattamente una città a misura di bambini, a meno di non portarsi dietro 2-3 tate devote che te li consegnino puliti profumati mangiati e vestiti en pendant per la foto di rito sotto la Tour Eiffel. Le metro sono dedali infiniti privi di ascensori, i parchi sono pieni di sabbiolina bianca che s’infila ovunque (e ai Giardini del Lussemburgo si paga per salire sulle altalene, 2 euro per cinque minuti, a pargolo), i francesi parlano solo francese e i marciapiedi sono invasi da sedie e tavolini e tombini e piedi da dribblare.
Camminare tutti insieme è faticoso.
Non correre avanti! Non restare indietro! Dai che è verde! Dai che è tardi! Alt! Rimetti subito le scarpe! Non ti arrampicare sull’obelisco! Lascia in pace tuo fratello! Non urlare! Non toccare che è sporco. Non toccare che si rompe. Attento al signore, attento al gatto, attento alla bicicletta!
Così faticoso che a volte vorremmo solo sdraiarci su una panchina e dormire.
Invece continuiamo a camminare. Perché c’è sempre qualcosa di bello 5 metri più in là, proprio dietro l’angolo, solo 2 minuti. Ti ricordi? La creperie dove abbiamo mangiato 10 anni fa! Quella foto buffa da fare, i rigagnoli del quartiere latino che spazzano via lo sporco, i tetti con i comignoli di Ratatouille, gli ingranaggi dell’orologio d’Orsay, le campane in cui saltare sulle piazze, le barchette nella fontana delle Tuileries, la marsigliese ballata per strada, i fuochi di dentifricio del 14 luglio, le capriole selvagge sugli Champs Elysees…
Scorpacciate di cose belle come ciliegie, che una tira l’altra. Ci resta l’acquolina in bocca per tutte quelle ancora non viste.
Vaghiamo a caso assaggiando tutte le fontanelle e calpestando le conchiglie gialle di pellegrini sgarrupati come noi, mangiamo baguette e gelato a orari improponibili, andiamo a dormire senza lavarci i denti come la sera di Capodanno. E poi facciamo cose tipiche parigine: spaventare i piccioni, giocare a mago ghiaccio sui pilastri, contare le Tesla, accendere candele che si consumeranno in silenzio, lanciare sassolini nel fiume perché le monete costano.
Che forse tanto valeva restare a casa.
E poi eccoli che riattaccano. Ho fame, ho sete, ho caldo, sono stanco, mi scappa la pipì, sono stufa, quanto manca?
Compriamo il palloncino? NO.
Compriamo la calamita? NO.
Compriamo i macarons? NO.
Saliamo sulla ruota panoramica? NO.
Uffa, ma con voi non si può fare mai niente!
Siamo esausti. Ma chi ce l’ha fatto fare?
Poi ogni tanto smettiamo di guardarci i piedi e nasinsù incrociamo un merletto di finissimo marmo, un gargouille abbarbicato, una foresta di guglie tra tetti di marmellata, minuscoli coriandoli di luce riflessa, spicchi di volte di limpidissimo azzurro, uno straccio di stella messo lì a consolare. *
“Mamma, ma questo è come il Duomo di Milano, che non finisce mai?”
Eh già, un pezzettino alla volta, 2 centimetri avanti e 4 indietro. A tirare una riga alla sera non vale proprio la pena. Secoli di pazienza e di fantasia e poi tutto crolla per una sigaretta spenta male. Tu che ti affanni a costruire e i gigli del campo che intanto si godono il sole e si risparmiano tanti capricci.
Le cose belle non finiscono mai, così impastate di sudore e di speranza.
Camminare insieme è faticoso, molto. Così faticoso che a volte ci dimentichiamo di quanto è bello.
Per questo ci piace prendere e partire.
Scoprire che per quanto i passi siano piccoli e i piedi sporchi, c’è ancora spazio nel cuore.
Zaino in spalla si riparte.