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Ri-nascere, magari!

Lo ammetto, speravo che Davide, un po’ più degli altri, fosse il mio Anno Zero. 
Speravo di rinascere, o almeno di cambiare, di capire una buona volta.

E ogni giorno, andata e ritorno da casa alla sua culletta e dalla sua culletta a casa, io spero che mi rimanga addosso come polverina di farfalla un po’ di quel silenzio denso di preghiera, di quei riti lenti, di quella gratitudine commossa, di quei buoni propositi, di quella voglia di spendersi, di quei sorrisi profusi, di quella speranza sottile, di quell’apertura serena a qualunque imprevisto o sorpresa.

E invece no, chiedetelo a mio marito!, tutto rimane intrappolato tra le porte scorrevoli e l’ascensore, e quando tolgo le scarpe oltre lo zerbino sono di nuovo la solita me. Con le mie magagne, i miei sbuffi, i miei spigoli, la mia forza di gravità e i miei anni.
Irrimediabilmente lontana dall’Anno Zero e dalla sua stella, solo la sabbia a grattare nelle scarpe.
Irrimediabilmente ingrata, distratta, nervosa, annoiata, irritante, pignola, in affanno.

Chiedetelo a mio marito se non sono di nuovo la solita me. Non quella del primo appuntamento romantico, e nemmeno quella che ti faccio conoscere i miei e dopo due mesi apriamo un conto cointestato… Dico quell’altra, struccata e col pigiama, anzi peggio, quella col tiralatte e le mutande post partum, che come fanno poi i figli a prenderti sul serio?

A volte, quando sono lì col dito alzato a sproloquiare in fa diesis, è come un guizzo nella testa. E se, mimetizzata contro la parete o dietro la libreria, ci fosse a spiarmi la tizia di S.O.S. Tata? Se chiamasse seduta stante il telefono azzurro? Se mi inserisse nella top 10 delle peggiori madri al mondo? Se la mia vicina sorda raccontasse?… 

E allora mi assale la vergogna, perché io davvero vorrei essere quell’altra e non la solita me. Davvero vorrei essere quella del primo appuntamento, magari senza trucco e senza tacchi, quella senza parole per la gioia, quella a piedi scalzi nel mare d’inverno, quella col naso schiacciato contro l’oblò per sentire l’odore di un figlio strappato, quella che si sente amata e basta.
E non fare invece i conti, tutti i giorni, con la solita me. E soprattutto sentirmi falsa e sdoppiata, nello specchio ingrato la solita me che smaschera e deride i grandi desideri di quell’altra. 

Ci sono per fortuna dei rari momenti in cui mi lascio guardare con tenerezza di bimbo. E mi sento dire da Uno che vado bene così, che la solita me non è quella sbagliata, ma quella ferita. Che gli specchi condannano, nelle ferite invece si trova riparo. Che l’Anno Zero riaccade per me ogni volta che giro lo sguardo e mi arrendo a un abbraccio. 

Semplicemente nascere e lasciarsi amare.

* Non mi ricordo da dove arriva questo pensiero, se consiglio di amico, lettura, sogno o angolo di cuore. Tant’è. Ricevo e inoltro. Il Regno di Dio è vicino, più di quanto crediamo, ma non come “Sta tornando la maestra, ragazzi tutti al banco!” È vicino perché lo puoi toccare con mano, ed è lì che ogni giorno ti senti a casa. 

* Fiorella Mannoia, Che sia benedetta

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