Sarà che ho visto troppe puntate di Grey’s Anatomy, ma a me quelle porte scorrevoli in fondo ai corridoi interminabili, la barella lanciata in corsa dentro l’ascensore e gli sguardi d’intesa tra la cuffietta e la mascherina un po’ d’ansia me la mettono. Perciò stamattina, mentre arranco lungo i sotterranei dell’ospedale dietro due paia di ciabatte colorate e il mio GGG già mezzo addormentato, per allentare la tensione m’immagino di essere in un altro film. Baywatch, con le sue torride corse in slow-motion, o il più bucolico Peter Coniglio.
Comunque qui Grey’s Anatomy non potrebbero girarlo, per via delle porte che invece di aprirsi magicamente vanno buttate giù a spallate. Ma negli ospedali ci sono sempre squadre di tecnici che armeggiano sulle porte scorrevoli, o li becco tutti io?
Invece al GGG pare tutto un gioco. Il letto che se premi i tasti diventa uno scivolo o un super trampolino, il campanello appeso, l’asta portaflebo con le rotelle, e anche le porte scorrevoli. Per me, oltre quelle c’è l’ignoto, il buio, la paura. Per lui un mondo di suoni, di luci e di strani robot tutto da esplorare. Mamma – mi dice –, sembra il quartier generale dei Paw Patrol! E mentre balbetta altre cose sconnesse (sarà l’anestetico, sarà che vuol farmi ridere), scivola nel sonno tenendomi per mano. Poi lui va, e io resto.
Tra scatoloni di guanti monouso e vecchi monitor dismessi, mi fa compagnia un ragazzotto in tuta blu, che armeggiando sulla porta incriminata fischietta O mia bela Madunina. Forse un angelo vestito da passante. Meraviglioso.
Cerco invano di ricordare un tempo in cui anche a me bastava stringere la mano della mamma per non aver paura e andare incontro all’ignoto con la spensieratezza di chi si sente sempre al sicuro. Prima che imparassi a cavarmela da sola. Mi tornano in mente le porte scorrevoli della sala parto, ma lì era più un tenerci la mano per farci coraggio. Non mi resta che imparare dai miei bimbi l’arte del sapersi custoditi, qualunque cosa accada.