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Tsunami

In questa convivenza h24, riempire e svuotare il frigo è il meno.
Il più sono le emozioni, le fatiche, i capricci, i dispiaceri, i desideri inespressi, gli sbalzi d’umore, le arrabbiature, le gelosie, le crisi di panico, le crisi adolescenziali, l’insonnia, gli incubi, i sonnambuli. Shakera tutto e aggiungi il mio caratteraccio. Così n (troppe n) volte al giorno, devo vedermela con uno tsunami.
E lo so che sbaglio in toto, ma non ho mai avuto il tempo di leggere il manuale della mamma perfetta, perciò – quando lo tsunami arriva – adotto delle strategie assolutamente discutibili.

1) Se ho dormito 8 ore, non è venerdì sera e non sto lavorando a una consegna urgentissima, provo a distrarli. La tattica è semplice, almeno in teoria. Il nostro amico Gio è grandioso in questo, e i suoi figli sono simpaticissimi. In sintesi, bisogna riuscire a cambiare argomento. Per esempio. Palla umana di morsi, pizzichi e moccio al naso? Entri in camera urlando: “Ciurma! Arrivano i pirati!!!” Ancora meglio se provvista di gamba di legno e pappagallo. 3enne isterica che si rotola a terra strappandosi i capelli proprio quando il fratellino si è appena addormentato? Ti stendi accanto a lei, chiudete gli occhi e fate il saluto al sole. 2enne selvaggio che si ostina ad arrotolare gli spaghetti al ragù con le dita dei piedi? Gli racconti la storia dell’arricciaspiccia. Il problema è che serve una buona dose di ironia greca e dei figli con uno spiccato senso dell’umorismo. E comunque non sempre funziona. Anzi a volte gli effetti collaterali sono incalcolabili.

2) Se sono appena andata dall’estetista, fuori ci sono 26 gradi e ho fatto mezz’ora di meditazione zen, riesco persino a prevenire certi disastri inventando qualcosa. Organizziamo una caccia al tesoro, dai! Una super torre di lego! Andiamo in giardino che c’è il sole! Evviva! Il didò no, vi prego.

Altrimenti
3) Chiudo un occhio. Cioè mi chiudo la porta dietro le spalle , mi metto le cuffie e accendo l’aspirapolvere, sperando che in quella stanza non succeda nulla di grave. A volte, incredibilmente, riescono a cavarsela.
4) La prendo alla lontana. Guardate che la mamma sta perdendo la pazienza… Ve lo dico per l’ultima volta… Mi avete sentito?
5) Mi appello alle regole. Non si lanciano le cose! Non si urla! (io sto urlando però) Non ci si picchia! I giochi si condividono! Poi, già che ci sono, mi sfogo un po’ con qualche domanda retorica. Ma quante volte ve l’ho detto?!? Ma che lingua parlo?
6) Li confondo con domande filosofiche. Chi è stato? Perché l’hai fatto? Ma cosa vi salta in mente? A scuola fate così? Ecco, l’ho rifatto, sto parlando con me stessa. Vai a capire perché ridono.
7) Mi impongo con autorità. Dito alzato. Chiedi scusa, immediatamente! Mi ignorano. (No, giuro che “Insomma, sono vostra madre!” ancora non l’ho mai detto.) 
8) Provo a neutralizzarli. Uno in ogni stanza, uno in balcone, l’altro in bagno. Stai qui 5 minuti e rifletti su quello che hai fatto. Fortuna che l’ultimo ancora non cammina.
9) Provo a sedarli. Ciuccio, caramelle, cartoni.
10) Provo a corromperli. In modo più o meno subdolo prometto castighi e ricompense. (Negli anni mi sono fatta furba perché certi castighi, tipo stasera niente cartoni, mi si ritorcono contro.) Ho scoperto che tra fratelli impiegano lo stesso metodo illegale: se mi colori le schede di matematica stasera ti faccio scegliere i cartoni. La Selvaggia invece, che a quattro anni è ancora un’idealista, dice: “Allora io non sono più tua amica!”
11) Provo a spaventarli. Il vicino di sotto (che in effetti spaventa un po’ anche me), i carabinieri, la polizia, i pompieri, l’esercito.
12) Provo a stordirli. Urloooo. All’inizio temevo un po’ il giudizio dei vicini (penseranno che sono pazza). Poi ho capito che no: io urloooo proprio per farmi sentire dai vicini. Perché in casa mia nessuno mi sente. Ripeto le cose mille volte, le stesse cose tutti i giorni. Vedi sopra. E niente. Entra da un orecchio, esce dall’altro.* La mia vicina di pianerottolo è sorda, quindi devo sperare nei vicini del piano di sopra o di sotto. Mio marito mi rassicura sullo share: dice che a volte mi sentono anche i suoi colleghi da sotto le cuffie.

………. (Ci sono anche altre reazioni, ma meglio non raccontarle al di fuori dell’intimità domestica.)

Fatta eccezione per i punti 1 e 2 – che allora mi do una bella pacca sulla spalla –, molto più spesso cado, precipito nelle altre reazioni, che finiscono per travolgermi proprio come uno tsunami. Chiudo gli occhi, mi tappo il naso, e aspetto che passi, sperando di limitare al massimo i danni. Quando la super onda si ritrae, i bambini riprendono a ridere e a giocare come se nulla fosse… tipo pausa/play… esattamente da dove eravamo rimasti. Amnesia totale. Io no, resto tramortita sul bagnasciuga, in mezzo ai detriti, a macerarmi nel mio senso di colpa. Ho ingoiato un sacco d’acqua e addosso mi sono rimasti pochi stracci. Vorrei prendermi a calci, mi sento un mostro. Mi ero immaginata una mamma diversa, mi ero ripromessa un sacco di cose, avevo giurato a me stessa di non ripetere certi errori. Vorrei che i miei figli si sentissero sempre amati e al sicuro. E invece… Ci metto almeno 10 ore a “dimenticare”, tengo il muso (dentro e fuori) per mezza giornata.
Pian piano – ma che fatica! – sto imparando che l’unica soluzione (sciogliere i nodi, liberare) è chiedere scusa. Meglio esplicitare a parole, ma per i più timidi vale anche un abbraccio. Chiedere scusa e ricominciare. Come i bambini.

* È sempre esilarante spiegare ai bimbi metafore e modi di dire. Io ho traumatizzato mio figlio di 3 anni dicendogli “mi esplode la testa”. Tentate anche con cavoli a merenda, orecchie foderate di prosciutto, culetto e camicia, a rotta di collo, gatta da pelare….

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