E mi viene in mente il primo colloquio con le maestre di Bea.
Ci dica una virtù di sua figlia, la prima che le viene in mente. Silenzio. Un talento, un punto di forza. Sempre più difficile.
Non è che non ne abbia, per carità. È che è tutto così mischiato… È sensibile, sì, ma è iper-sensibile, e anche un bel po’ permalosa. È tenace, certo, nel senso che è cocciuta come un mulo. Ha tanta fantasia, potrebbe inventare chissà quante storie. Col risultato che, se dopo colazione deve lavarsi i denti, nei due metri tra la cucina e il bagno si perderà a giocare con gli unicorni. È socievole, molto. Ma solo se giocando a mamma e figlia il fratello è disposto a fare il cane, altrimenti guai. È affettuosa, ma solo quando vuole lei, e se non l’hai offesa irreparabilmente sbagliando un congiuntivo. È generosa, uuuuh generosissima, soprattutto con i giochi degli altri. E poi è anche solare, ubbidiente, servizievole, intelligente, matura. Così dicono i nonni.
Io invece non ci riesco proprio a trovare la parola giusta, la parola buona. E allora perché mi incaponisco? Sarebbe così semplice benedirla ogni volta che la guardo. Rinunciare a capire e guardarla con tenerezza. Semplicemente perché esiste, perché è così e non come vorrei io. Benedire quel guazzabuglio del suo cuore. E con la stessa tenerezza benedire il mio.
* Bellissima intervista di Gigi al vescovo di Bergamo